Ferdinando Battaglia
- 23/02/2018 08:26:00
[ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]
Non si può non condividere il commento di Far, che mi onora di sì tale considerazione, da farmi dubitare della mia identità (forse lui mi confonde con un altro - così inadeguato sono io, pieno dignoranza), anche se laggettivo assoluto nella produzione poetica di Amina è sempre traballante, poiché non sappiamo mai quale altre meraviglie saprà ancora comporre e proprio questo è il punto (e concludo, senza ancora attraversare il testo): tra i poeti, la Narimi è forse lunica a non "scrivere": lei, al pari di un musicista, però evidentemente utilizzando le parole al posto delle note, compone delle melodie, delle sinfonie, crea delle armonie con le immagini e, proprio come può accadere con la musica ovvero con le più belle composizioni, ci apre delle vie che sfiorano il divino. D’altronde, se noi smontassimo il testo, ne vagliassimo i singoli lemmi, ne analizzassimo gli accostamenti e la sintassi, nulla di ciò che abbiamo esperito nella lettura ci rimarrebbe in mano (se a livello basico ciò può valere per ogni poesia, credo che ascendendo la qualità poetica tale “ trascendenza” risulta ancora più stupefacente), proprio perché la poesia di Amina non è nella scrittura, non è nella parola, ma nella tessitura delle “note” (parole) ovvero, mutuando dal linguaggio teologico, dalle interrelazioni degli accostamenti, da quei reciproci abbracci delle cose, da quello starsi accanto delle cose scelte, in una maieutica della luce che adombra di sé le cose nell’emergenza di quel di più che ne trae l’ostetricia-poetica dell’Autrice, appunto schiudendo al creato l’Increato, appunto sfiorando con i propri versi (musica) il divino. Su tutto ciò non può mancare, in un recupero edenico, l’eco di un "io" e di un "tu".
|